Licenziamento per assenza ingiustificata al corso sulla sicurezza

Quando l’assenza del lavoratore alla formazione in materia di salute e sicurezza può portare al licenziamento

La normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro impone obblighi sia per il datore di lavoro, che deve mettere in condizione i propri dipendenti di potersi formare, sia per il lavoratore, che deve partecipare alla formazione a cui è stato iscritto.

In questo articolo si pone l’attenzione su una recente sentenza della Cassazione Civile che vede il licenziamento per giusta causa del lavoratore assente ingiustificatamente al corso di formazione sulla sicurezza. Il commento della sentenza riportato all’interno di questo articolo è a cura degli avv. Francesca Masso e avv. Luca Montemezzo (diritti riservati alla B&P – Avvocati).

Il caso di licenziamento per giusta causa sottoposto in esame

Recentemente, si è verificato il licenziamento per giusta causa di un lavoratore assente ingiustificatamente alla formazione obbligatoria in materia di sicurezza sul lavoro. Risulta opportuno sottolineare che la contestazione ha per oggetto assenze ripetute e già in precedenza sanzionate al lavoratore.

La Corte di Cassazione ha considerato priva di vizi la decisione di rigettare, sia in primo grado che in appello, l’impugnazione del licenziamento per assenza giustificata al corso sulla sicurezza. Inoltre, è stata ritenuta adeguatamente motivata la valutazione di merito che aveva ritenuto la condotta lesiva del vincolo fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.

Giudizio di legittimità ed obbligo di formazione

Commento: Francesca Masso, Luca Montemzzo, Epc, portale InSic, 15 febbraio 2019

La sentenza esamina una serie di doglianze anche di carattere formale in ordine al concetto di recidiva e alla rilevanza, ai fini della valutazione della condotta dal punto soggettivo, anche di episodi pregressi non formalmente contestati e sanzionati. Quel che qui interessa, però, è che, nel solco di una sempre diffusa tendenza alla responsabilizzazione anche del lavoratore, la sentenza conferma la rilevanza, anche a fini disciplinari, della violazione degli obblighi su di lui incombenti a norma del D. Lgs. 81/2008.

Siamo tutti stati abituati a ricordare, quale fosse un obbligo “a senso unico”, l’art. 18, comma 1, lettera l), D. Lgs. 81/2008, a norma del quale “il datore di lavoro … e i dirigenti … devono… adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento di cui agli articoli 36 e 37…” e così l’art. 37 del medesimo decreto per cui “il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza…” (obblighi rigorosamente applicati e sanzionati, v. Corte di Cassazione n. 3898/2017).

Ciò non di meno occorre ricordare che l’art. 20 del D.Lgs. n. 81/2008, al comma 2, lettera h), impone anche al lavoratore, parallelamente, l’obbligo di “… partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro“, obbligo, peraltro e anch’esso, specificamente sanzionato con la contravvenzione prevista dall’art. 59, comma 1, lett. a).

L’obbligo di formazione (per chi la eroga e per chi vi partecipa) costituisce, d’altronde, indiscutibile obbligazione accessoria al contratto di lavoro e, perciò, rilevante in forza anche dei più generali principi civilistici in tema di corretto adempimento del contratto (art. 2104 c.c.), nonché di esecuzione dello stesso secondo correttezza (art. 1175 c.c.) e buona fede (art. 1375 c.c.).

È del tutto ragionevole, quindi, che la violazione di una obbligazione contrattuale, tanto più ove espressamente prevista dalla legge anche quale obbligo sanzionato penalmente, rilevi anche a fini disciplinari tanto da costituire addirittura giusta causa di licenziamento.

La Suprema Corte ha, quindi, ritenuto logicamente corretta la sentenza del Giudice di merito che “… (adeguandosi esattamente al principio secondo cui l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenute nei contratti collettivi, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, ha valenza meramente esemplificativa e non esclude, perciò la sussistenza della giusta causa per grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore alle norme di etica o del comune vivere civile -cfr. Cass. 16.3.2004 n. 5372; Cass 12.2.2016 n. 2830; Cass. 18.2.2011 n. 4060) con valutazione, come si dirà in seguito non correttamente censurata ai fini della presenza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo, ha comunque ritenuto la sussistenza di una grave violazione, da parte del lavoratore, degli obblighi di diligenza e di fedeltà ovvero delle regole di correttezza e di buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., tale da ledere in via definitiva il vincolo fiduciario e di rendere proporzionata la sanzione irrogata“.

D’altronde, il principio per cui le violazioni in tema di sicurezza e, nello specifico, dell’obbligo di formazione, possano costituire giusta causa di licenziamento era già stato affermato in altre occasioni dai Giudici di merito (v. Tribunale di Bari, ordinanza 05.11.2013) e dalla stessa Cassazione che, seppur indirettamente, aveva già evidenziato la gravità di tale condotta con la sentenza n. 15308/2018 (in quel caso, infatti, il licenziamento era stato ritenuto illegittimo solamente in quanto il datore di lavoro non aveva fornito la prova del fatto che il lavoratore fosse effettivamente a conoscenza dell’organizzazione del corso e del relativo obbligo di parteciparvi e che mancasse, quindi, la prova del volontario rifiuto di prendervi parte). Si ricorda, peraltro e ancora, in applicazione del medesimo principio, la sentenza della Cassazione n. 18615/2013 (con la quale è stata confermata la legittimità del licenziamento del lavoratore che ha rifiutato, ripetutamente, di utilizzare i dispositivi di protezione individuale predisposti dal datore di lavoro e obbligatori per l’accesso al lavoro, non osservando l’ordine di servizio di provvedere al loro ritiro), così come la sentenza n. 7338/2017 che ha confermato il licenziamento in fattispecie di grave violazione di una procedura di sicurezza.

Conclusioni sul caso in oggetto

Il modello iperprotettivo, in passato spesso adottato nei confronti del soggetto lavoratore, sembra oggi attenuarsi o addirittura abbandonato a favore di un modello collaborativo. Quest’ultimo approccio considera il lavoratore come soggetto attivo e fondamentale parte del sistema volto a garantire l’effettiva sicurezza dettata dalla normativa antinfortunistica.

Infine, è essenziale che il datore di lavoro possa dimostrare di aver offerto e fornito al lavoratore tutti gli strumenti idonei ed accessibili per poter esigere l’adempimento degli obblighi da parte del lavoratore.

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